Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16, 11-27)

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Gesù non nasconde nulla della sua vita ai suoi. Da questo punto del vangelo in poi inizia a condividere con loro tutto il percorso della sua esistenza e della sua missione. Tutto il suo significato, senza reticenze. Egli dice: “la mia vita sarà questa”. E questa vita all’improvviso appare interamente sotto gli occhi dei discepoli, inaspettata, inquietante, inspiegabile. I discepoli sono colti da una vertigine ed ancora una volta – a cominciare da Pietro – non comprendono.

Nel loro cuore al termine del discorso restano inchiodate alcune parole: soffrire, morire, croce. Il pensiero ruota intorno ad esse e si perde. E tuttavia non si domandano: “di che cosa sta parlando il Signore?”. Forse non si accorgono che Gesù non sta parlando loro della morte, sta parlando della vita. E rivela che non si può imparare a vivere, se non si impara prima a morire.

Gesù infatti ripete più volte questa espressione “la propria vita”, è questa che gli sta a cuore: salvare, perdere, trovare, dare in cambio qualcosa per la propria vita. “Che cos’è questa mia vita?”, si saranno domandati i discepoli. Che cosa io chiamo “la mia vita”? A volte chiamiamo “vita” le tante cose di cui oggi è piena, a volte chiamiamo “vita” una aspettativa, un sogno di là da venire, a volte chiamiamo “vita” invece ciò che è passato, a volte chiamiamo “vita” le nostre emozioni di oggi, a volte chiamiamo “vita” la nostra fatica, il carico dei nostri doveri o l’intrico delle nostre relazioni. Sempre sfuggente, sempre incompleta.

Il Signore parlando di sé mostra che la propria vita è il dono che se ne fa liberamente. Allora inizia a fiorire. In un altro momento dirà: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Ogni scelta fondamentale che compiamo comporta la morte o la perdita di qualcosa, ma è questo che ci apre alla vita. E ci fa partecipare alla vita di Dio che è puro dono. Questo vivere con Dio – nel dono – tutto quello che facciamo, è il segreto che Pietro imparerà.