V Domenica di Pasqua
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
“Rimanere” è un verbo di movimento. Un’imbarcazione ha bisogno di molta energia per rimanere sulla sua rotta. Per rimanere concentrati con la mira su un bersaglio abbiamo bisogno di mobilitare quasi tutto il nostro organismo. Ed anche soltanto per rimanere in piedi è necessario che il nostro corpo metta in moto una quantità inimmaginabile di risorse: muscoli, centri dell’equilibrio, giunture, sensi, capacità di attenzione. La fedeltà è una virtù dinamica. Il contrario dell’immobilità.
Quando invece rinunciamo a questo profondo e luminoso coinvolgimento di tutti noi stessi così necessario a “rimanere”, abdichiamo a noi stessi e lasciamo che altre forze, altri venti ci portino dove non sappiamo. Spesso dove non vogliamo.
Questo “rimanere” nasce da una intensa esigenza di unità: voglio essere unito a te, in questo luogo, in questo tempo. Unito a me stesso. E’ il verbo della profondità e della durata. E’ il nome dell’amore nel tempo.
“Rimanere” è anche la premessa della fecondità. Le radici si innervano nel terreno se hanno il tempo di attecchire. Una lunga e fedele ripetizione dei gesti dell’arte prepara la naturalezza dell’opera riuscita, magari con una fioritura imprevista. La Parola che rimane nel cuore genera qualcosa di nuovo. E’ il “rimanere” del seme.
Qui Gesù ha intorno i suoi discepoli. Parla dell’intimo rapporto creatosi con loro, che hanno accolto la sua Parola, la verità del suo cuore, e gli dice: “rimanete in me”. Ci emoziona questa profonda aspirazione di Gesù all’unità, con me, con te, con noi suoi discepoli. Cristo non ha bisogno di me, ma ha bisogno di vedermi gioire, di vedermi fiorire in Lui. E’ questa comunione profonda che rende vivo l’uomo. Ciò che lo rende vero, che lo rende il meglio di sé.
Noi “siamo” solo in Dio. Siamo solo da Dio, senza di Lui non siamo. Lui in noi, noi in Lui, come i tralci e la vite. Questa è la nostra realtà più profonda. Noi “siamo” solo in questa comunione d’amore, altrimenti non siamo.
Molto triste il germoglio che pretendesse di fiorire staccato dal suo ramo. Il suo onore è ricevere vita dal ramo e fiorire. Cristo vuole fiorire attraverso di te, per quello che sei, e tu “sei” soltanto se sei in Lui. Sei tu, non Lui, ma in Lui. Altrimenti non sei. E’ l’umiltà del tralcio: guardare alla propria fonte, alla propria sorgente, amandola e gioendone perché essa è la sola origine di ogni sua bellezza e di ogni sua vera grandezza. Con gratitudine, fiorire.
Questa unità con Lui si crea custodendo la sua Parola in noi come cosa preziosa, come centro della comunione. Ogni istante dovrebbe sorprenderci con una Parola di Dio nel cuore. Qual è la Parola che oggi stai custodendo?
Quando i discepoli accolsero la Parola di Gesù si creò questa semplice ma radicale unità: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68). Ma avrebbero presto sperimentato anche quanto fragile fosse la loro fedeltà, pur animata da questa ardente sete del cuore. E così, incontrando poi nuovamente il Maestro dopo la Pasqua, avrebbero compreso che “rimanere” significa spesso anche solo semplicemente “ricominciare”.
Per meditare
Mi fermo a contemplare questa unità che Gesù cerca con me. Cerco di aprire gli occhi sul fatto che Lui è la mia continua creazione, che il suo amore mi crea e il suo perdono mi fa vivere. Quali sentimenti suscita in me? In quali situazioni mi riesce più faticoso questo rimanere in Lui? Quali decisioni posso prendere per fortificare questa mia volontà? Lo chiedo nella preghiera?
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